Ero a Bruxelles per la SME week, la settimana dedicata alle small and medium enterprises, e in un paio di interventi l’hanno chiamata fatina.
“Ho saputo del programma X da un amico che mi ha messo in contatto con la manager Y. Poi ho contattato Mrs Y che, come una fatina, mi ha risolto i problemi trovando i finanziamenti che facevano a caso mio”.
Ma è possibile, e parlo sia da professionista ma anche da cittadino, che nell’era delle tecnologie dell’informazione, sia tutto affidato al network amicale?
Non a caso con genere femminile, la fatina fa da raccordo tra territorio e bandi, risolve i problemi reali mettendo sulla stesso piano semplicità, problem solving e progettualità, riduce la complessità, trova alleanze e finanziamenti…
La sala plenaria del Parlamento era piena di giovani imprenditori e di aziende che hanno partecipato all’ Erasmus for Young Entrepreneurs, progetto a cui ho partecipato circa 2 anni fa.
Di fronte ad una enorme spesa che ha permesso a centinaia di professionisti di recarsi a Bruxelles, ne esco un un pessimismo che non immaginavo: le sessioni sono state condotte da politici europei con alcuni casi studio selezionati non si sa bene come.
Le visioni uscite, perlomeno nei due meeting a cui ho partecipato, mi hanno lasciato un amaro in bocca perchè credo si possa fare molto di più. Sia nel meeting dedicato all’e-business sia in quello dedicato a come sviluppare un distretto territoriale florido per le PMI, non ho trovato nulla di innovativo.
Ed anzi, gli unici momenti davvero utili sono emersi solo attraverso l’alzata di mano: solo quando i reali soggetti attivi hanno preso parola, c’è stato un avanzamento.
Il resto è noia direbbe Califano. E quindi?
Perchè non aver organizzato tutto on line? Una conference call allargata in cui tutti, dalla propria casa, si collegano e partecipano in tempo reale con evidente risparmio di tempo e soldi. Con evidente ritorno dell’investimento anche nella tracciabilità delle azioni.
Tornando a ciò che è emerso, è evidente che tutto è lasciato alla buona volontà: saper essere cerniera, o bottone o fatina, è ancora affidato alle propensioni personali, senza nessuna formalizzazione e professionalizzazione.
Come è possibile uscire da questa logica? Credo debba essere doveroso sia di fronte ad una crisi senza precendenti sia considerando la centralità delle PMI nell’economia europea. Senza dimenticare che siamo in piena rivoluzione da social media. Se si parla di comunicazione orizzontale, perché devo recarmi a Bruxelles per sentire, in modo passivo,conferenze piene di verbi al futuro (semplificheremo, organizzeremo, avvicineremo…)?
Ovviamente la mia riposta non può prescindere da una progettazione che vede nell’uso delle tecnologie, quelle facili, quelle usabili, un ruolo centrale.
Qual’è il tuo business e il tuo bisogno? Quali sono i finanziamenti e le reti su cui confidare? Chi ha vissuto il tuo stesso problema?
Come una cerniera tra il qui ed ora e il possibile, mi torna in mente il modello Kublai perchè credo che un meeting point sia necessario anche perché sono gli stessi professionisti, i reali possessori del know how utile a risolvere i problemi. Senza una dialettica top down, rimaniamo ancorati a schemi oramai sorpassati.
C’è bisogno di un nodo che sappia muoversi seguendo le logiche della rete, sia web che di persone, a prescindere dalle grammatiche tipiche delle istituzioni, per poter diffondere le reali possibilità, per condividere percorsi e criticità, per fare massa critica.
E risolvere per davvero i problemi.
6 Responses
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lo scontro tra modi di intendere le conferenze, il business, le istituzioni sarà davvero epocale. puntare sull’efficienza, sugli incontri personali che davvero servono. Ma queste cose europee servono, il dubbio che sorge…
la risposta di pancia è no, non servono!
poi però devo assolutamente rilanciare il face to face, per passare dall’on line all’off line, che, specialmente per noi “latini” è fondamentale. Ma non possiamo limitarci all’alzata di mano o alla chiacchera all’ora di pranzo.
Vedere la sala plenaria piena di piccoli e medi imprenditori dava una certa atmosfera e potenzialmente c’era una grande voglia di condividere e disegnare progetti comuni. Invece sentire politici europei assolutamente non preparati, è stato deludente.
Giusto, ma ricorda: in un sistema che sia lo sviluppo completo di quello di Kublai non c’è comunque un architetto top-down percepibile, come in Matrix quando alla fine Neo incontra il vecchio-con-barba-bianca. Quel sistema io me lo immagino a rete in senso proprio: il risultato è che gli esisti sono emergenti e probabilistici come ora. La differenza, che non è piccola, è che se la rete è cablata bene anziché male (come tu sembri pensare che sia ora), le fatine si moltiplicano, e il senso di serendipity del partecipante medio cresce molto. Non fare l’errore di confondere il livello ontologico del partecipante (che DEVE essere lasciato in qualche misura al caso per avere costi ragionevoli) con quello del sistema (che invece sa benissimo cosa sta facendo). Il primo non percepisce il secondo, gli sembra solo di incontrare molte fatine. Ma il secondo funziona eccome…
E’ un piacere poter conversare con te Alberto.
A questo punto però la domanda è: come sviluppare questo sistema? un fase beta continua credo sia doverosa…e un bel manuale dal titolo:” lo zen e la (perenne) manutenzione della community” potrebbe essere l’ideale.
E’ come se dovessimo prevedere dei meccanismi di intelligenza collettiva…creando, o favorendo, i meeting point tra sinergie, in cui le tecnologie sono davvero abilitanti con le fatine aka designers, sviluppatori e membri della community, che creano un processo continuo di sintesi.
Beh, io nel mio piccolo ci provo. Non con lo zen, ma con la crowdsorcery 🙂
http://www.cottica.net/2011/10/12/the-apprentice-crowdsorcerer-learning-to-hatch-online-communities/
Edgeraiders sarà ovviamente un test interessante ma mi chiedo: a quale bacino di utenza ci si deve riferire? Servono grandi numeri? Mi torna in mente il processo wiki per la costituzione islandese con un bacino di 350mila abitanti.