L’idea di fare inclusione digitale non mi è nuova.
Sia all’Università e sia nel privato, pormi come nodo formativo, è tra le mie priorità perché credo fermamente che di fronte ai cambi culturali in atto, sia organizzativi che sociali, una fase alla “non è mai troppo tardi“, magari in versione 2.0, sia doverosa.
httpv://www.youtube.com/watch?v=l04yEbxudf8
I social media hanno cambiato radicalmente il modo di comunicare e tutti possono produrre e fruire di contenuti, senza nessuna forma di mediazioni.
Riprendo il contributo di Gianluca Diegoli al libro “Viaggi in rete” che, come sempre, indica la via senza giri di parole: ” i consumatori hanno ora, infatti, un potere infinitamente superiore rispetto a qualsiasi periodo della storia umana“.
Ma quanti manager ne sono consapevoli? Politici? Docenti?
Ne parlo con cognizione di causa visto che da ormai tre anni mi trovo studenti di comunicazione di circa 25-26 anni che spesso han bisogno dell’ABC su come impostare la privacy su Facebook, per esempio. O tra manager di aziende internazionalizzate, o all’interno della PA, il panorama non cambia.
Per questo credo che un percorso di rafforzamento per l’inclusione digitale, sia doveroso visto che le tag sono territorio, formazione e futuro.
Se parliamo di e-goverment inteso non come “voto via web” ma come un insieme di pratiche che cambiano la dialettica di goverment e governance attraverso l’uso di tecnologie intelligenti, è evidente che il rischio è di vedere crescere disparità di accesso e di rappresentanza, ripetendo schemi novecenteschi.
Una parte delle risposte deve comprendere percorsi di formazione, diversificata a seconda dei contesti e obiettivi.
Aziende e PA hanno delle responsabilità come opinion leader territoriali: se si creano dei precedenti, sarà più facile allargare la massa critica.
L’esempio della Diesel, azienda leader nel campo della moda, è lampante: prendersi cura del territorio con un investimento verso l’inclusione digitale, è investire in conoscenza e radicamento. E marketing, non solo territoriale. Ma il digital divide, cioè le difficoltà di accesso al web inteso come infrastruttura, è solo una parte della medaglia. L’altra, riguarda il knowledge divide.
Per questo nasce l’idea di un piccolo esperimento: grazie al Centro Commerciale Minganti e alla serie degli eventi dedicati al “tech”, proviamo ad uscire dai soliti luoghi con il progetto “internet spiegato agli umarells e alle zdoure“.
4 studenti dell’ associazione culturale SocialLab, naturale evoluzione di TagBoLab, per 4 mercoledì si posioneranno davanti all’uscita del supermercato ponendosi come gate informativi sia verso il mondo digitale ma soprattutto dando informazioni sulle opportunità formative disponibili in città.
Il progetto, fin dal nome, si propone di avvicinare persone che sono a rischio di esclusione digitale perchè umarells e zdoure, in dialetto bolognese indicano gli uomini e le donne di una certa età ma, anche grazie al blog umarells.splinder.com dell’amico Masotti, i termini, nell’immaginario bolognese e nell’opinione pubblica, si sono imposti anche come sinonimo di bolognesità e di una certa diffidenza di fronte ai cambiamenti.
Vi terreno informati ma ciò che è sicuro è che ci si sta muovendo sia da parte del Pubblico, del privato e del no profit: anche per questo sto allestendo questa mappa sull’offerta di formazione al digitale disponibile in città.
Se conoscete altri corsi, fatemelo sapere via mail, facebook, twitter, segnali di fumo oppure potete scrivere direttamente, facendo i bravi, sul gdoc.
Perchè, se parliamo di distretto social bolognese, dobbiamo pensare ad un circolo virtuoso tra aziende attive nella responsabilità sociale, associazionismo, professionisti e istituzioni.
Mettere in sinergia gli sforzi di pubblico, privato e no profit per rendere il modello emiliano, o forse meglio dire bolognese, aperto ai cambi del mondo digitale, potrebbe essere volano di nuove opportunità.
Credo che un territorio che ha fatto la storia del mutualismo debba avere delle responsabilità nuove: certo che i piani strategici siano un pò in ritardo, lancio il sasso convinto che le energie ci siano.
Il passo successivo?
Gli open data spiegati agli umarells e alle zdoure.
2 Responses
« Si scrive #Tdays, si legge place branding Una fatina 2.0 per le piccole e medie imprese »
Michele, nell’offerta formativa manca la sala da thè del centro donne che avvia donne emigrate ei casi di digital divide . Per accedere gratuitamente basta iscriversi e attendere il proprio turno…
Ciao Roberta, mi mandi un link? comunque lo puoi aggiungere direttamente sul gdoc!