Tra responsabilità sociale d’impresa e media sociali, è evidente che la dimensione “sociale” è il nodo.
E credo non sia un caso. Infatti nel titolo di questo post ho volutamente giocato sulla resposabilità…
Ne ho già parlato: il tema mi è caro perchè, oltre ad investire in pieno il mio lavoro, credo sia centrale se vogliamo un futuro per i nostri nipoti.
La settimana scorsa ero al decimo anniversario di impronta etica: invitato come blogger, ho potuto assistere all’evento che, fin dai primi istanti, si poneva come cerimonia e come occasione di lancio del “Manifesto 2020” ovvero di una piattaforma che propone un modello di sviluppo che si basi sull’aumento della conoscenza, sul rispetto dell’ambiente, sull’inclusione e sulla coesione sociale da perseguire entro il 2020.
Qui trovate un ampio resoconto dell’evento.
Il programma, zeppo di video con testimonianze e interventi, testimoniava l’estrema attualità del tema “Green” e RSI, ma ciò che ovviamente mi ha incurisiosito, è stata, finalmente, la possibilità di poter interventire via twitter, usando la tag “#improntaetica10“.
Ogni twittata veniva poi videoproiettata su uno schermo così da creare il famoso corto circuito on line-off line.
Ovviemente ne ho approfittato per dire la mia!
Ed è su ciò che è emerso su cui voglio soffermarmi: ad interagire via twitter non eravamo molti, anzi.
E devo dire che la cosa non mi ha sorpreso visto che sono ben consapevole che aprire una conversazione via social media è cosa davvero faticosa, richiede tempo e risorse perchè investe ciò possiamo chiamare reputazione.
Cioè, per avere feedback, è necessario essere riconosciuti come interlocutori. Serve dialettica, non monologo.
In una celebre twittata, Stefano Epifani, in merito ai social media usati dai politici solo durante le campagne elettorali, mette a fuoco la faccenda in modo ironico:
Ciò che voglio sottolineare è che, sopratutto per aziende che vogliono porsi come modello di sviluppo sostenibile, l’idea di porsi come nodo comunicativo verso l’esterno per permettere ai vari stakeholder di partecipare, è davvero notevole, se non necessario, ma necessita di un progetto, di un percorso, di attività day by day perchè altrimenti si rischia di intendere la responsabilità sociale d’impresa come attività topdown in caso di bisogno.
Dobbiamo pensare agli stakeholder non come target passivi rischiando di comunicare i social media come strumento di buzz on line, ma come soggetti attivi nella conversazione.
Il celebre clutrain manifesto forse non è così celebre.
In queste due twittate fatte durante l’evento, riassumo in 280 caratteri…
Il cambio copernicano scatenato dai media sociali in che modo può coinvolgere la corporate social responsability?
Certo, ci troviamo di fronte ad una posizione senz’altro entusiasta e ottimistica, ma, anche di fronte all’ultimo social media report della Nielsen, possiamo dire che il dado è tratto?
Sul tema CSR e social media è evidente il cambio di paradigma che coinvolge gli stakeholder che, fin’ora trattati in ottica topdown, ora vedono la possibilità di reciprocità, di conversazione.
Da target e partner? Da stakeholder a shareholder?
Quali sono i passi da compiere? Ieri, parlando di promozione territoriale, ho utilizzato la metafora del timone.
Anche in questo contesto, aprire una conversazione con la propria comunità comporta dei margini di rischio sopratutto per chi usa il CSR come attività di green washing.
Sui social media, non mi stanco di ripeterlo, le bugie hanno le gambe davvero cortissime.
Per questo penso fermamente che i social media possono dare ulteriore energia alle responsabilità sociali delle imprese.
Io un pò di idee le ho…ed è forte l’idea che questo tipo di imprese devono assumersi anche il ruolo di nodo qualificante nel territorio attraverso la trasmissione di modelli positivi delle 3 o 4 gambe, come evidenzia in questo video Giuseppe Lanzi, parlando di ambiente, ecostenibilità e social media.
httpv://www.youtube.com/watch?v=nnYKSG63m_c&feature=youtu.be
One Response
« Viaggi in rete? Quando il turista è un “monumento mobile” Si scrive #Tdays, si legge place branding »
Interessante e utile lo spunto. Sembra quasi un’ovvietà dire che per le aziende sono centrali le politiche ambientali intese come azioni (le più svariate) rivolte verso l’ambiente che le circonda. Rimane però il problema di un consolidato approccio topdown o comunque “unidirezionale”: l’operazione risulta arida e, in fondo, inconcludente o “di facciata”.
Personalmente – partendo da un’esperienza amministrativa in un comune non grande dove molto, se non tutto, è visibile e verificabile – preferisco rivolgere il tuo ragionamento alle enormi opportunità che i nuovi strumenti offrono alle aziende pubbliche, quelle con finalità di interesse generale, in quanto a sostenibilità intesa nel suo concetto “quadruplo” (cito Lanzi). Forse sono questi soggetti che, per la loro natura, possono trarre il massimo da quello che potrà essere il “cambio copernicano” che prospetti. Del resto, a volte più delle istituzioni politiche, sono quelli che un tempo si chiamavano enti di sottogoverno ad essere messi nel mirino di chi chiede di svolgere “controllo sociale”: se lo si riuscisse a fare interloquendo con l’azienda pubblica o la public company di turno si farebbe un bel passo in avanti. Forse questo può essere un interessante campo d’azione di una responsabilità sociale più responsabile.